Quando è possibile rendersi conto di essere vittime di una violenza psicologica?
Va detto innanzitutto che la violenza non ha sesso.
Le cronache riportano storie di maltrattamenti di uomini nei confronti
delle donne in un numero maggiore, solo perché l’uomo è più condizionato
a reagire nella relazione affettiva, secondo schemi culturalmente
appresi. La donna tuttavia, nel caso della violenza psicologica è, alla
stregua del maschio, capace di generare lo stesso dolore. Sono le due
facce della stessa medaglia: la distruttività come impulso irrefrenabile
che riduce la persona alla funzione di puro oggetto.
[.........]
La violenza psicologica nella coppia, diversamente da quella fisica, non lascia segni visibili; “il morto è vivo”
dice una psichiatra francese, M. Hirigoyen, per indicare come il
processo di manipolazione conduce la vittima ad una morte psicologica
lenta e devastante.
Parole gelide, anaffettive, che umiliano e sminuiscono in modo
sistematico, giorno dopo giorno, lentamente. Gli individui violenti sono
tali in quanto hanno un solo ed unico scopo: rendere insicuro l’altro e
annientarlo psicologicamente. La spinta alla base del loro
comportamento è il potere totale sulla vittima. Questo è l’obiettivo e
rimane immutato indipendentemente dall’aggressore; le forme di violenza
invece si tipicizzano in base alle peculiarità di chi compie la
violenza. Questi, di solito, non ha esplosioni d’ira improvvisi,
altrimenti il/la partner fuggirebbe; l’aggressore prepara il terreno
attraverso azioni di vero terrore. Il maltrattamento è molto sottile e
la vittima spesso rimane nel dubbio, è disorientata, paralizzata
nell’incertezza delle proprie percezioni.
Benché riconosciuta di recente, ad oggi manca una definizione
precisa; la conseguenza è una reale difficoltà nel circoscriverne i
confini. Non ci sono ematomi, contusioni o fratture che ricordano al
soggetto e agli altri che si è stati vittima di un’aggressione. Qui
abbiamo a che fare con sguardi carichi di disprezzo, parole innocue
pronunciate con tono minaccioso, sarcasmi, battute umilianti. Gli
insulti hanno lo scopo di instillare insicurezza e provocare un
cedimento interiore nella vittima che ne assicura la completa
sottomissione.
Se gli attacchi verbali si verificano in pubblico allora l’aggressore
usa la forma ironica e cerca in tutti modi di accattivarsi la simpatia
dei presenti. In tal modo la vittima è isolata e se trova il coraggio di
raccontare a qualcuno il suo vissuto spesso non viene creduta. E’
questo l’atteggiamento che induce la vittima a dubitare, a dire a se
stessa: “Forse hanno ragione, forse sono io che l’ho provocato.
Sicuramente me lo meritavo”. Nella realtà non rimane gran ché della
violenza subita perché essa non è visibile agli altri, è una violenza
“pulita”.
Il modus operandi di solito segue questo schema: aggressioni verbali
sottili e graduali fino a quando la vittima arriva a considerarli
normali. Se questi, tuttavia reagisce allora può manifestarsi anche
l’aggressione fisica.
Come venirne fuori.
Non è semplice ma nemmeno impossibile. Quello della violenza
psicologica è un fenomeno poco conosciuto e di conseguenza è più
difficile parlarne. Il primo passo a mio avviso consiste nel saperla riconoscere,
darle un nome per riuscire ad individuare anche quelle forme più
subdole. Le vittime, donne in prevalenza, dovrebbero avere il coraggio
di pretendere il rispetto e se questo viene calpestato non lasciarsi
intimorire e denunciare. Anche gli aggressori potrebbero fare
qualcosa: smettere di negare e chiedere aiuto.
La violenza, infatti, è deleteria per tutte e due i membri della
coppia; anche se gli aggressori di solito non ne hanno coscienza, la
loro è una condizione di malattia e come tale andrebbe curata. Infine,
ma non meno importante, le campagne pubblicitarie contro la violenza. Sono stereotipate; condannano quella fisica e sessuale ma non menzionano minimamente quella psicologica. Non è forse questo un modo “civile” per legittimare insulti e umiliazioni?
Carmela Vitale - Psicologa e Psicoterapeuta
Non lasciamo sole le vittime e crediamo alle loro parole.. o almeno diamo loro il beneficio del dubbio...
Aggiungo una parola "difficile"
Il Gaslighting è un insieme di comportamenti subdoli, agiti dal
manipolatore (gaslighter), nei confronti di una persona per confonderla,
farla sentire in colpa, farle perdere la fiducia in se stessa, farla
sentire sbagliata, renderla dipendente, fino a farla dubitare della sua
sanità mentale. Il contesto può essere quello di coppia, familiare,
amicale e lavorativo.
E’ di fondamentale importanza la conoscenza del fenomeno e la
prevenzione dello stesso per contrastare il fenomeno della violenza
psicologica, specialmente in ambito famigliare, ove non di rado si
assiste a una forma di molestia subdola e continuativa in cui la vittima
viene manipolata al punto di dubitare della propria sanità mentale.
Spesso questo tipo di violenza non è ravvisabile neanche dalla vittima
stessa, la quale si trova inconsapevolmente ad essere manovrata dai
propri congiunti, diventando di fatto complice di un processo che mira a
distruggere la propria individualità.
domenica 27 novembre 2011
Iscriviti a:
Post (Atom)